
Parte I
Non bisogna necessariamente andare nei musei per vivere l’emozione trasmessa dall’arte perché si fonde nella nostra quotidianità.
È in nostra compagnia tutti i giorni e la possiamo ritrovare negli abiti che indossiamo, negli oggetti di design che arredano le nostre case, sulle copertine dei nostri album musicali e nelle architetture avveniristiche delle nostre città.
Crollati i confini tra i diversi ambiti, le reciproche contaminazioni sono in continuo sviluppo: l’arte offre un contributo straordinario in quasi tutte le discipline, ispirando svariate personalità come architetti, designers, stilisti, grafici e pubblicitari.
Attingere dall’arte passata o contemporanea contribuisce alla nascita di creazioni uniche e originali, basti pensare ai traguardi raggiunti dal design: l’equilibrio tra funzionalità e bellezza lo avvicina e lo equipara sempre più spesso all’arte contemporanea.
I moderni edifici, prima ancora di rispondere a esigenze funzionali, definiscono un’immagine ben precisa avvicinandosi sempre di più al linguaggio peculiare dell’arte in un dialogo tra le due discipline sempre più complementare, in totale compenetrazione.
Nei musei di nuova generazione lo spazio che separa l’architettura dall’opera d’arte (il contenitore dal contenuto) è ormai annullato ed è emblematico di questo radicale cambiamento il Guggenheim di Bilbao progettato da Frank Gehry, opera d’arte a tutti gli effetti e attrazione turistica diventata il simbolo della città.
Le forme morbide del museo sono un perfetto esempio di decostruttivismo, corrente architettonica che si ispira alle opere dei costruttivisti russi degli anni ’20, che per primi infransero l’equilibrio della composizione classica per creare nuove geometrie.
Museo Guggenheim, Bilbao, Spagna
L’arte esce dalla tradizione per assecondare le nuove modalità di apprendimento via internet ed è possibile visitare musei, monumenti e siti archeologici di tutto il mondo gratuitamente e senza muoversi da casa.
L’esigenza di vivere un’esperienza culturale a 360° si traduce anche nella creazione di tour virtuali in molte città d’arte, il più recente promosso a Milano in occasione del 500enario della morte di Leonardo da Vinci.
Profili e forme tipiche dell’arte non hanno contagiato solo l’architettura e il design ma – come dicevamo – anche la moda dando vita a percorsi e scambi creativi unici e originali.
Basta osservare le passerelle di questi ultimi anni, ricche di omaggi e riferimenti all’arte non solo negli abiti ma anche nelle scenografie, spesso più vicine alla performance artistica che alla presentazione di collezioni stagionali.
L’effetto “museo” ha accompagnato spesso le sfilate degli stilisti olandesi Viktor & Rolf, dall’omaggio a Vincent Van Gogh del 2014 agli abiti che richiamavano l’action painting dell’anno successivo, ma la più sorprendente è stata la collezione dedicata a Picasso del 2016, quando hanno letteralmente trasformato le modelle in sculture viventi in un look monocromo asimmetrico tipico delle opere cubiste.
Immagini della sfilata di Viktor & Rolf, Collezione P/E 2015
Immagine della sfilata di Viktor & Rolf, Collezione A/I 2015-2016
Immagine della sfilata di Viktor & Rolf, Collezione P/E 2016
Picasso stesso ha dato il suo contributo al mondo della moda creando un bottone per Coco Chanel e disegnando abiti teatrali per i Balletti Russi di Diaghilev – occasione in cui ha conosciuto la futura moglie e musa Olga Chochlova.
Pablo Picasso, bottone disegnato per Coco Chanel, 1920
Ceramica e smalto
Pablo Picasso, Sipario per il balletto “Parade” di Massine, 1917
Tempera su tela, 1050 x 1640 cm
Centre Pompidou, Parigi, Francia
Pablo Picasso, costume per il Prestigiatore Cinese per il balletto “Parade” di Massine, 1917
Victoria and Albert Museum, Department of Theatre and Performance, Londra
Moschino ha invece scelto di dare vita alle opere più famose del pittore spagnolo – dal periodo rosa a quello blu fino alle astrazioni cubiste – in una sfilata P/E 2020 a dir poco strepitosa.
Le modelle di Jeremy Scott – tra spalline giganti, cornici dorate e profili di donna scomposti – erano perfette opere d’arte viventi, personificazioni dei quadri del grande maestro.
Immagini della sfilata di Moschino, Collezione P/E 2020
La scelta di omaggiare e di ispirarsi all’arte non riguarda solo l’attualità: già in passato grandi stilisti hanno ripreso artisti e opere famose, come nel caso di Yves Saint Laurent con il “Mondrian Look” del ‘66, collezione che riprende i disegni geometrici del pittore olandese che ha fatto storia.
Yves Saint Laurent, “Mondrian Look”, 1966
Una trentina di anni più tardi è Gianni Versace a omaggiare Andy Warhol con un grande tributo in occasione della collezione P/E del 1991, proponendo le celebri serigrafie di Marylin Monroe e altre icone pop stampate su abiti di seta policroma.
Gianni Versace, Collezione P/E 1991
Sempre Warhol – dal ’62 al ’66 – ha creato a sua volta una serie di abiti ispirati alle proprie opere: “Fragile, handle with care” e “Campbell’s Soup Can” comunicano la forte critica nei confronti della società tipica della produzione dell’artista, il quale riesce a trasformare anche l’abito femminile in un’icona consumistica. Perfettamente nel suo stile, l’arte diventa merce e gli abiti diventano arte.
Andy Warhol, “Souper Dress”, “Brillo” e “Fragile, handle with care”, 1962-66
Abiti in carta, cellulosa e cotone
Il legame tra arte e moda si consolida sempre di più, rappresentato da frequenti partnership e collaborazioni tra maison e artisti contemporanei impegnati nella creazione di singoli pezzi o di capsule collection: oggi le opere d’arte si vedono sulle copertine di Vogue, nei video di rapper come Jay Z, sulle scarpe da ginnastica Nike o sulle borse di Louis Vuitton.
Proprio la casa di moda del gruppo LVMH di Bernard Arnault – che come vedremo è fortemente impegnato nel promuovere e sostenere l’arte – grazie al direttore creativo Marc Jacobs ha avviato alla fine degli anni ’90 una serie di collaborazioni con diversi artisti tra cui Cindy Sherman, Yayoi Kusama, Takashi Murakami e Richard Prince.
Le borse Monogram sono diventate alcuni degli accessori di moda più iconici e venduti del decennio, vere opere d’arte da indossare tanto che nella sede di Beverly Hills si è appena conclusa l’esposizione “Artistic collaborations exhibition” che ha celebrato i 180 modelli più affascinanti di sempre della Maison.
Collezionista a sua volta, Marc Jacobs ha di recente deciso di vendere parte della sua collezione da Sotheby’s in occasione delle aste newyorkesi di questo novembre: oltre 150 opere raccolte nell’arco di 20 anni, dai maestri impressionisti a Andy Warhol passando per Ed Ruscha, il pezzo forte della collezione.
Yayoi Kusama, borsa Monogram per Louis Vuitton, “Infinitely Collection”, 2012
Richard Prince, borsa “Monogram Jokes” per Louis Vuitton, Collezione P/E 2008
Alex Israel, borsa “ArtyCapucines” per Louis Vuitton, 2019
Rimanendo in Francia, la maison Celine si è spesso distinta per collezioni mutuate dal mondo dell’arte come la linea P/E 2017 ispirata alle famose performance antropometriche di Yves Klein.
Le silhouette dei corpi delle modelle sono impresse su abiti bianchi come tele in una tonalità che riprende l’International Klein Blue brevettato dall’artista francese.
Oltre a questo illustre omaggio, la casa di moda ha spesso collaborato con artisti contemporanei e l’ultimo in ordine di tempo è Christian Marclay per la collezione P/E 2019, artista che si è ispirato al mondo della musica e dei fumetti per una collezione che strizza l’occhio al rock.
A sinistra: Yves Klein durante una performance; a destra: Celine, Collezione P/E 2017
Christian Marclay per Celine, Collezione P/E 2019
Dior – a sua volta molto attiva nel campo dell’arte – ha annunciato di recente la collaborazione con 11 artiste donne per la 3ª edizione di Dior Lady Art, una collezione che lascia carta bianca alla reinterpretazione della borsa iconica.
È di quest’anno anche la capsule Dior Men firmata Kaws, che ha ridisegnato lo storico logo a forma di ape trasformandolo in uno spiritoso cartoon sullo stile dei personaggi che popolano le sue opere.
Non nuovo alle sperimentazioni anche fuori dall’ambito strettamente artistico, Kaws aveva già collaborato con Nike – Keith Haring è l’illustre precedente con le sneakers per Reebook e altri marchi – con Kenye West disegnando la cover dell’album “808s & Heartbreak” e persino nella grafica del profumo “Love for fairer sex” di Comme Des Garçon in collaborazione con il musicista Pharrell Williams.
Musica e arte si sono spesso intrecciate nel corso degli anni e – insieme a molte altre – rimarranno nella storia la banana di Andy Warhol sulla copertina del primo album dei Velvet Underground (uscito nel 1967), il “The best of” dei Blur disegnato da Julian Opie nel 2000 seguito nel 2003 da “Think Tank” illustrato dai graffiti di Banksy.
A dimostrazione che le contaminazioni tra i diversi ambiti sono sempre più profonde e complesse.
Keith Haring, sneakers per Adidas
Album “The Velvet Underground and Nico”, 1967
Anche per Marni il dialogo tra arte e moda rappresenta una continua fonte di ispirazione. Sally Smart, Ruth Van Beek e David Salle, Stefano Favaro e Christophe Joubert sono alcuni dei nomi legati alla casa italiana che di recente ha acceso i riflettori sul tema della sostenibilità e dell’ambiente, chiave di lettura ben visibile nella scenografia dell’ultima sfilata e nelle creazioni degli artisti Shalva Nikvashvili e Kazuma Nagai per la P/E 2020.
Anche Moncler ha scelto di sensibilizzare il proprio pubblico verso tematiche ecologiste e con un testimonial d’eccezione: l’artista cinese Liu Bolin, che è conosciuto come “l’uomo invisibile” per gli autoritratti fotografici nei quali si mimetizza perfettamente con l’ambiente circostante grazie a un body painting preciso al minimo dettaglio.
Fotografato da Annie Leibovitz per la collezione A/I 2018, Bolin scompare nel paesaggio magico e incontaminato islandese, immerso tra i ghiacci. La splendida idea di unire due talenti contemporanei è nata nel 2017 in occasione della campagna Moncler P/E ambientata a New York.
Non è la prima collaborazione dell’artista cinese per un marchio di moda: nel 2012 è diventato invisibile per la rivista Harper’s Bazaar collaborando con Lanvin, Jean Paul Gautier, Missoni e Valentino e nel 2015 per Guerlain. Nel 2017 in occasione delle sfilate newyorkesi ha anche debuttato come stilista creando una collezione di 24 pezzi per la P/E 2018, ispirata alla sua serie “Hiding in New York” del 2011.
Liu Bolin per Moncler, collezione A/I 2018
A volte le collaborazioni nascono anche grazie ad amicizie personali, come nel caso di Riccardo Tisci e Marina Abramovic che l’11 settembre 2015 ha ideato la scenografia della sfilata per festeggiare i 10 anni da direttore creativo di Givenchy. L’ambientazione asciutta tra i grattacieli di New York creata con materiali di recupero era metafora della ricostruzione sulle macerie, in omaggio a una data così simbolica.
Marina Abramovic, passerella ideata per Givenchy, Collezione P/E 2016, New York, 2015
Quando arte e vita si intrecciano nascono esperienze uniche destinate a fare storia, oggi come ieri: negli anni ‘30 Elsa Schiaparelli traspone la poetica surrealista su abiti e accessori grazie all’amicizia personale con artisti del calibro di Salvador Dalì, Man Ray e Jean Cocteau.
Da queste collaborazioni sono nati pezzi iconici come il cappotto con tasche a forma di cassetto disegnato da Dalì che si ispira proprio all’opera “Venere di Milo con cassetti” del 1936, la famosa stampa aragosta ricamata, l’abito scheletro o il cappello a forma di scarpa rovesciata (1933).
Salvador Dalì, Vestito “Skeleton”, 1938
Altre creazioni di Salvador Dalì per Elsa Schiaparelli
Un altro esempio odierno attuale è il legame tra l’artista veneto Nico Vascellari – compagno di Delfina Fendi – e la collaborazione con la casa di moda italiana, per la quale quest’anno ha giocato con il dualismo bene-male / luce-oscurità, ideando una passerella trasformata in una sorta di caverna.
Sono molte le collaborazioni intrecciate dalla casa di moda nel corso degli anni con svariati artisti come Hey Reilly.
Nel 2018 Fendi aveva sponsorizzato l’installazione “Revenge” di Vascellari al Maxxi di Roma, rafforzando così il legame con la capitale e con il mondo dell’arte, incrementato nel 2015 dal restauro della Fontana di Trevi e dall’apertura nel 2018 di Rhinoceros, sede definitiva della Fondazione Alda Fendi in un edificio storico ristrutturato da Jean Nouvel.
Il grande palazzo dell’arte unisce conservazione e innovazione offrendo un laboratorio culturale all’avanguardia in un quartiere che fino a oggi non aveva sfruttato a pieno le sue potenzialità.
Come vedremo in seguito, uno dei tanti benefici apportati dalle fondazioni è l’aver avviato processi di riqualificazione urbana: mentre a Milano Prada ha riabilitato un intero quartiere – sulla sua scia hanno aperto l’ICA e numerose attività commerciali – a Roma la Fondazione Alda Fendi ha acceso i riflettori su uno dei tanti luoghi dimenticati dalle istituzioni.
Le sfumature dell’arcobaleno dell’arte sono infinite: scegliete la vostra preferita!