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Aprile 2019

Dialogo tra Arte & Design

 

Le origini del design sono da ricercare nella rivoluzione industriale e nella nascita della produzione meccanizzata avvenuta a partire dalla metà del ‘700 fino alla metà dell’800.

La differenza qualitativa ed estetica tra oggetti creati dall’industria e oggetti artigianali pose quasi subito il problema di qualificare i nuovi prodotti in base a nuova estetica, lasciandosi alle spalle i canoni tradizionali.

Un architetto artista è stato Antoni Gaudí, che ha saputo captare le influenze dell’arte e tradurle nell’architettura in una cifra stilistica personalissima che ha incluso l’Art Nouveau nella progettazione di edifici.

In seguito alla prima guerra mondiale è stata la nascita del Bauhaus a porre le radici per una teoria più sistematica del design e ad associarlo ad altre discipline come l’arte, l’architettura e la tecnica manifatturiera al fine di unificare interessi artistici, estetici, pratici e commerciali.

L’innovativa scuola fondata in Germania nel 1919 da Walter Gropius – proprio quest’anno ad aprile ricorrono i 100 anni di anniversario – rappresentava un perfetto connubio di tutte le arti, fucina creativa che si poneva come punto di riferimento per il cosiddetto movimento moderno. Gli insegnanti, tra cui si annoverano alcuni tra gli artisti più grandi dell’epoca come Paul Klee, Vassily Kandinskij, Josef Albers, László Moholy-Nagy, provenivano da tutta Europa. È chiara la forte influenza esercitata dal Costruttivismo russo – nato nel 1913 e sviluppatosi negli anni successivi – sulle esperienze artistiche della Repubblica di Weimar e sul Bauhaus.

A seguito dello scioglimento della scuola e delle persecuzioni del regime nazista nel 1933, molte personalità artistiche porteranno negli Stati Uniti le idee sviluppate dal movimento del Bauhaus.

Le influenze stilistiche della scuola continuano a influire anche l’arte contemporanea attuale, tanto che nel 2007 l’artista cinese Ai Weiwei ha omaggiato a sua volta il Costruttivismo proponendo una rilettura del progetto della Torre di Tatlin del 1920 ispirata alla torre di Babele: la scultura di Ai Weiwei “Fontana di Luce” è oggi conservata al nuovo museo Louvre di Abu Dhabi.

Nel 1932 il MoMA di New York apre il primo dipartimento di Architettura e Design museale.

Qualche anno dopo, nel 1977, nasce a Parigi il Centro Culturale dedicato alla multidisciplinarietà Centre Pompidou che raccoglie opere di arte moderna, design, architettura, fotografia, attività musicale, cinematografia e opere multimediali.

A Milano proprio una settimana fa la Triennale ha aperto il Museo del Design, specializzato nel design italiano con oltre 1.600 pezzi.

Come abbiamo visto, mentre alcune icone di design sono entrate nelle case di migliaia di persone, non si può certo dire lo stesso degli esclusivi e celebri tavoli monocromi ideati dall’artista francese Yves Klein nel 1961, strutture in plexiglass trasparenti contenenti il trio di colori amati dall’artista quali il rosa magenta, l’oro e il blu che porta il suo nome.

Picasso ha esteso la sua vasta pratica artistica alla ceramica che, proprio grazie a lui, inizia in quegli anni a essere riconosciuta come una vera e propria arte, non più semplice artigianato.

Altro esempio di artista che si è dedicato a questo materiale è Lucio Fontana, che ha mosso i primi passi nel laboratorio del padre decoratore- ceramista, dedicandosi alla progettazione e realizzazione di particolari componenti d’arredo: tutt’ora i suoi meravigliosi camini in ceramica raggiungono quotazioni altissime in asta, nonostante appartengano a un periodo di molto precedente alle ricerche spaziali.

La commistione tra diverse discipline ha visto il coinvolgimento di molti artisti con modalità e tecniche differenti tra loro: è il caso di Le Corbusier, architetto, pittore, scultore e designer, protagonista nel 2015 di una grande retrospettiva al Centre Pompidou in occasione dei 50 anni dalla sua scomparsa. La mostra ha celebrato l’impegno dell’architetto svizzero anche nel campo delle arti classiche e negli spazi del museo è stata messa in evidenza la completezza e la vastità della sua espressione artistica tra celebri mobili, dipinti, fotografie, disegni e progetti architettonici.

Piet Mondrian, viceversa, ha preso ispirazione dall’architettura newyorkese per creare le sue celebri composizioni di linee che, per chi non lo sapesse, sono vere e proprie mappature di New York e dei suoi grattacieli.

La compenetrazione tra funzionalità e bellezza, progetto e ispirazione, si alimentano e si influenzano reciprocamente anche nel caso del Gruppo Memphis, collettivo italiano di design e architettura nato a Milano e attivo tra il 1981 e il 1987, fondato da Ettore Sottsass.

Il ricorso a colori vivaci e forme geometriche, in sintonia con la cultura pop dell’epoca, crea oggetti che celebrano la cultura di massa. I colori accesi e il gusto per la tecnica tipografica di pubblicità e fumetti con la ripresa del tipico puntinato sono alla base della loro cifra stilistica inconfondibile al passo con la Pop Art.

Negli ultimi anni sono molti i designer che hanno reso ancora più labile il confine tra arte contemporanea, design e architettura: Ron Arad potrebbe essere uno di questi. Da oltre 25 anni si muove tra le diverse discipline creando oggetti sul filo tra il design e la scultura. Le sue opere in acciaio in serie limitata, come la poltrona Big Easy o la Voido Rocking Chair sono diventati il manifesto della sua poetica, che mira a superare la semplice funzionalità.

Un altro esempio di design che diventa arte è dato da Les Lalanne, studio formato dalla coppia francese Claude Lalanne (mancata proprio in questi giorni) e Francois-Xavier Lalanne, i quali hanno spesso attinto dalle forme floreali dell’Art Nouveau e dalla dimensione onirica del Surrealismo per le loro creazioni.

Ci hanno mostrato il lato magico della natura e del mondo animale con un linguaggio poetico e ironico, in grado di parlare a tutti superando le gerarchie tra arte, scultura e funzionalità.

Tra i loro collezionisti spiccano Yves Saint Laurent, Karl Lagerfeld, Marc Jacobs e Tom Ford; i Lalanne sono stati oggetto di molte retrospettive e i loro lavori si possono trovare nelle collezioni museali di tutto il mondo.

È spesso accaduto anche l’opposto, ovvero artisti che hanno collaborato con aziende commerciali dando alla luce limited editions da collezionismo. Uno di questi è Jeff Koons, che ha creato per il celebre marchio di champagne Dom Pérignon un cofanetto in edizione limitata – solo 650 pezzi – che rivisita l’opera Balloon Venus.

Anche un “normale” ristorante può diventare un’esperienza artistica, in questo caso il ristorante Londinese è progettato da Damien Hirst e si chiama Pharmacy, proprio come corpus di alcune sue opere.

Invece al Palms Casino Resort di Las Vegas, i fan dei Young British Artists possono riposare tra le opere più famose di Hirst nella “Empathy Suite” dell’Hotel.

Invece una soluzione più economica per chi desidera il lavoro di un grande nome dell’arte contemporanea, può ripiegare sulla linea per la casa ideata da Maurizio Cattelan per Toilet Paper, in collaborazione con Seletti.

Detto questo, la design week milanese con le sue migliaia di installazioni e proposte, concorre a promuovere una ridefinizione del rapporto arte/design, non più considerate come categorie distinte ma come entità in continua evoluzione.

 

Le sfumature dell’arcobaleno dell’arte sono infinite: scegliete la vostra preferita!

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Quello che non si vede

La Fondazione Nicola Trussardi presenta “A Friend”, monumentale intervento dell’artista Ibrahim Mahama ai caselli daziari di Porta Venezia, installazione site specific a cura di Massimiliano Gioni visibile dal 2 al 14 aprile 2019.

L’artista ghanese, come già avvenuto in occasione di altre importanti manifestazioni tra cui la 56ª Biennale di Venezia nel 2015 e Documenta 14 nel 2017, ha avvolto i bastioni milanesi con sacchi di juta provenienti dai mercati africani e contenenti diversi tipi di merci destinate a una circolazione su scala internazionale.

Per rivestire completamente i 5.000 metri quadrati delle due strutture sono stati utilizzati ben 10.000 sacchi di juta montati da 8 Guide Alpine tramite l’utilizzo di apposite fascette, al fine di evitare l’impiego di chiodi che avrebbero alterato in modo definitivo i monumenti.

Il luogo prescelto è emblematico per la memoria e la simbologia della città in quanto ingresso che ha segnato per secoli il confine con la campagna e ha delineato il rapporto stesso tra Milano e l’esterno.

Porta Venezia, in qualità di quartiere multietnico con una forte presenza di altre culture, aiuta a leggere il lavoro di Ibrahim Mahama sia nel contesto di Milano sia in quello dell’Italia di oggi: la riflessione sul concetto di soglia, di relazione tra sé e l’altro e la dicotomia esterno/interno è estremamente attuale in un momento storico ricco di tensioni verso tutto ciò che si può definire “straniero”.

I caselli daziari, luoghi strettamente connessi al mondo esterno, evocano inoltre tutte le complessità degli aspetti etici e politici che riguardano il traffico di merci destinate a viaggiare in tutto il mondo, in netta contrapposizione con l’alienazione della manodopera che le realizza.

L’installazione di Ibrahim ha il merito di entrare nel tessuto della società in modo da essere fruibile a tutti e di suscitare un interessante dibattito pubblico in un contesto che si ricollega agli interventi di Christo degli anni ‘70. Se gli “impacchettamenti” dell’artista di origini bulgare erano una critica verso il crescente consumismo, oggi l’intervento di Mahama racconta e denuncia preoccupanti tensioni globali.

I sacchi di juta logori e pieni di rammendi, che nel lavoro di Ibrahim sono sinonimi di garze che tamponano le ferite, rimandano anche alla ricerca condotta da Alberto Burri.

Il titolo ”A Friend” ha la funzione di ricordare tutte le persone che hanno lavorato e lavorano tutt’ora alla realizzazione dei sacchi e al commercio degli oggetti, persone dimenticate e cancellate dalla memoria collettiva nonostante ognuno di noi si relazioni a tali merci e prodotti quotidianamente.

Per Ibrahim Mahama quest’opera è un modo per ricordare a noi stessi che dietro a ogni oggetto, dietro a ognuno di questi sacchi ci sono centinaia di milioni di storie e di potenziali amici, di voci e di pensieri.

 

Le sfumature dell’arcobaleno dell’arte sono infinite: scegliete la vostra preferita!

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